“Il tempo del futurismo”, la mostra che si interroga sul rapporto tra arte e scienza
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Insieme alla dea Vesta e ai Lari, nelle case romane era usuale venerare anche i Penati: chi erano? Perché venivano onorati? E cosa c’entrano con Enea?
Appare persino in un verso che Virgilio scrisse nell’Eneide, e con il quale Enea parlava al padre. Chi sono i Penati a cui si riferisce questo famoso personaggio, della mitologia greca e romana, nel passo: «Padre mio, che siano le tue mani a portare i sacri arredi e i Penati protettori della nostra patria; a me, appena uscito da una battaglia ed una strage così feroci, non è concesso toccarli, finché non mi sarò lavato ad una sorgente d’acqua viva»?
Per capirlo, bisogna specificare il motivo di queste parole, soprattutto il contesto in cui vengono pronunciate. È mentre cerca di portare in salvo la sua famiglia dalla città di Troia che il padre di Enea riceve, infatti, dal figlio queste parole, sentendosi inoltre investito delle cura dei Penati. Ma perché? Per quale motivo i Penati sono così importanti, tanto che Enea non può toccarne le statuette con le mani impure, cioè sporche del sangue dei nemici?
Tutto risiede nel valore che veniva dato a ciò che questa parola rappresentava. Come recita un passo latino: “Penati sunto omnes dii qui domi coluntur“, ovvero “I Penati sono tutti gli Dei che sono venerati in casa“, queste figure avevano a che fare con la famiglia. In particolare, insieme a Vesta e ai Lari, i Penati (detti familiari o minori) erano gli spiriti che tutelavano, nel più antico culto domestico dei Romani, i viveri di riserva della domus, quindi il ripostiglio. Insieme, essi proteggevano anche lo Stato, come Penati pubblici o maggiori. Per questo motivo, spesso, le loro statuette si trovavano all’interno della casa, nel Penius a dirla tutta, cioè la parte più interna, da cui appunto prendevano il nome, e dove solitamente si teneva il cibo.
Rappresentati come divinità sedute, al loro culto provvedeva soprattutto il pater familias: la mattina con una preghiera; all’ora dei pasti con un’offerta di sale, elemento che purificava e conservava i cibi, e di farro, il primo cereale coltivato dai Romani.
Infine, come anticipato, i Penati erano anche figure protettrici dello Stato. A questo proposito, a Roma divenne così comune il culto dei Penati della famiglia di Enea, che gli stessi Penati di Roma cominciarono ad essere identificati con quelli. Siti in un loro tempio sul colle Palatino, e rappresentati come due uomini seduti e armati di lancia, questa sorta di spiriti avi tutelavano la vita della città, e conseguentemente dello Stato. Se ne trova traccia addirittura in un basso rilievo dell’Ara Pacis di Augusto, in cui appunto è raffigurato Enea insieme ad un tempio. Il tutto si ricollegava, ovviamente, alla leggenda che voleva la nascita di Roma in qualche misura intrecciata alla storia di Enea. Secondo l’antico racconto, il popolo di Roma poteva vantare origini troiane, e questo ne faceva, quindi, una città sottoposta alla tutela degli dei di Troia. Secondo questa versione, furono proprio i Penati ad indicare la via per l’Italia ad Enea, che ne istituì un pubblico culto a Lavinio, che poi fu spostato a Roma.
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