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Ogni primo marzo, giorno del capodanno romano, gli antichi rinnovavano il fuoco sacro di Roma, sapete in onore di quale divinità? E perché?
Giunti agli sgoccioli della rubrica “Divinità romane“, oggi fa il suo ingresso in scena una delle dee più importanti dei nostri antichi antenati: la dea Vesta. Chi era? Per quale motivo veniva venerata, e come?
Nel parco archeologico del Colosseo se ne possono ancora ammirare le tracce: il culto di questa dea tutta al femminile era talmente importante che, nel tempio di struttura circolare eretto in suo onore (uno dei più antichi dell’Urbe, tra l’altro), potevano ammirarsi ben conservate le vestigia simboliche più preziose della città, risalenti alla mitologia della sua fondazione.
(Fonte: Parco Archeologico del Colosseo)
Vesta, derivata probabilmente dalla dea greca Estia, a sua volta immagine dell’influsso pagano indoeuropeo e del dio vedico Agnis, rientrava di diritto tra le principali divinità dell’olimpo romano. Non a caso, si legava all’elemento naturale del fuoco, simbolo al contempo di rinascita e purificazione, ma anche di distruzione e di forza. In particolare, la dea assumeva il preciso ruolo di divinità del focolare. Di colei, dunque, in grado di proteggere la casa e di custodirne i membri.
Così, a rappresentarla era esattamente un fuoco vivo, accesso all’interno della città; un fuoco continuamente alimentato, all’interno del tempio, e mai spento. Ogni primo marzo, durante l’antico capodanno romano, le sue sacerdotesse, vergini sacre addette al suo culto, chiamate appunto vestali, avevano infatti il compito di rinnovare la fiamma. E, qualche mese dopo, nella settimana delle Vestalia, dal 9 al 15 giugno, di onorare la dea con dei sacrifici. Pare che anche la mamma di Romolo e Remo, Rea Silvia, fosse una vestale di Albalonga.
(Fonte: Romano Impero)
Custodi del fuoco, la vita delle vestali ruotava intorno alla dea, svolgendosi dunque nell’Atrium Vestae, proprio accanto al suo tempio. Conseguenza di ciò: il loro status sociale poteva considerarsi di gran lunga diverso da quello delle altre donne. Legate alla dea Vesta, e alla sua posizione di preminenza, le vestali erano le uniche donne romane a poter redigere un testamento e a testimoniare senza giuramento, costringendo i magistrati a cedergli il passo e a far abbassare i fasci consolari al loro passaggio. D’altra parte, a queste sacerdotesse venivano affidati gli oggetti più sacri di Roma, i cosiddetti Pignora imperii, sette talismani a garanzia dell’eterna potenza dell’Urbe.
In breve: la pietra di Cibele, una pietra conica nera (forse un pezzo di meteorite?), trasferita a Roma dopo la vittoria delle guerre puniche; la quadriga di Veio, un’opera in terracotta dedicata a Giove; le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone e legato al lago di Nemi e a Diana; lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia; il velo di Iliona, figlia suicida dello stesso; il Palladio, ideato da Atena per l’amica Pallade; e gli Ancilia, ovvero i 12 scudi, di cui uno pare fosse quello inviato da Marte al re Numa Pompilio, come pegno dell’infinità imperturbabilità di Roma.
(Fonte: Romano Impero)
Pensate che solo nel 1929 fu riportata in luce l’unica tomba (o così si suppone) di vestale che si conosca, il sepolcro di una tale Cossinia, esattamente tra il fiume Aniene e la via Valeria.
Assolutamente preziosa durante tutta la loro vita, per via del pregiato compito, la posizione delle vestali non moriva affatto con loro, venendo onorata, anche alla fine, tramite la sepoltura entro il pomerio. La loro non poteva considerarsi, infatti, solo un’esistenza sacra: anche le loro ceneri diventavano impure.
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