“La Pratolina”, il ristorante che serve la cucina romana con un tocco creativo
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Dategli l’aggettivo che preferite, ma l’Amatriciana è una specialità culinaria che nessuna pasta al sugo condita potrà mai mettere in discussione e, da qualche tempo, lo conferma pure l’UE. Ma dove nasce?
Pomodoro, guanciale – se dite “pancetta” state nel posto sbajato – pepe, per chi vuole peperoncino e spolverata finale di pecorino: bastano una manata d’ingredienti, per la ricetta della felicità. Questa è l’Amatriciana (o matriciana), non un piatto ma un’esperienza di pura libidine per il palato! E a confermarlo, finalmente, dal 6 marzo 2020, anche il bollino di STG ricevuto dall’Europa, acronimo di Specialità Territoriali Garantite.
(Italia a Tavola)
Cosa significa? Semplice, che la sua ricetta verrà protetta e custodita, al pari delle pietanze DOP e IGP, all’interno del Registro Europeo delle Denominazione d’origine e Indicazioni geografiche e Specialità tradizionali. Ma dove nasce la ricetta dell’Amatriciana? Perché è un simbolo di Roma e della romanità? Queste le domande a cui cercheremo di rispondere, risolvendo (una volta per tutte?) la secolare contesa sulla maternità di questo incredibile condimento, ancor oggi diviso fra Roma e Amatrice.
Come sottolinea in maniera evidente il nome, l’Amatriciana sembrerebbe, a tutti gli effetti, un condimento tipico della tradizione gastronomica del paese reatino, Amatrice. Secondo quest’ipotesi, sarebbe stata una coraggiosa donna di Amatrice, nel 1870, a portare a Roma gli ingredienti dell’Amatriciana, dentro un fagottino (la mappatella), preparandola per i passanti, con strumentazioni piuttosto modeste, nei pressi della Stazione Termini. D’altra parte la zona di Amatrice, già dal ‘700, era sotto la giurisdizione del Regno borbonico e i napoletani furono i primi coltivatori e distributori di pomodoro in Italia, entro i propri territori.
(Fonte: Negroni)
Tuttavia, c’è chi fa risalire la sua origine al rione romano di Ponte (area di Piazza Navona e Ponte Sant’Aneglo, per intenderci), al vicolo soprannominato de’ Matriciani e alla piazza dei Grici, i Sabini (oggi, Piazza Lancellotti). Secondo questa teoria, datata sempre 1800, pare che da quelle parti si svolgesse tutti i giorni un mercato e che i prodotti, ben ordinati sui banconi, provenissero prevalentemente dai monti Sibillini. Ora, sostengono alcuni, parte di quei venditori ambulanti sostavano nelle vicinanze di una locanda chiamata L’Amatriciano: è lì che, dopo l’acquisto dei prodotti reatini, sarebbe nato l’inconfondibile sapore dell’Amatriciana, che stando al racconto altro non sarebbe se non la figlia di un tipico piatto dell’alta Sabina, la Gricia, nata a Grisciano, frazione del comune di Accumoli.
Qualunque siano le storie sull’origine di questa meravigliosa creazione, nessuno dubita però su un fatto: la prima testimonianza scritta, sull’uso di questo condimento per la pasta, si può rintracciare nel manuale L’Apicio Moderno (enciclopedia di 7 volumi, datata 1790), del cuoco romano Francesco Leonardi.
(Fonte: Forum Auctions)
A servizio della corte papale, per il Leonardi non era nuovo l’utilizzo della salsa di pommidoro. Fra le sue esperienze precedenti, infatti, si poteva annoverare il servizio prestato nelle cucine del Palazzo del Principe di Francavilla, a Napoli. Lì, era venuto a conoscenza di questo incredibile prodotto, inventando – a detta sua – la classica pasta al pomodoro napoletana. E tuttavia, solo più tardi, decise di proporlo alla maniera dei matriciani, ovvero aggiungendolo ad un tipico piatto della cucina povera sabina, cioè la Gricia. In altre parole, il cuoco riuscì a creare un condimento per i maccheroni degno di papa Pio VII e a servirlo durante uno dei suoi banchetti, quello in onore di Francesco I Imperatore d’Austria. Per questo motivo, la ricetta dell’Amatriciana fu associata sempre a Roma e ai proprietari delle sue osterie che, a seguito dell’episodio, cominciarono a farsi chiamare matriciani.
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