“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Il 3 novembre 1954 esce nelle sale cinematografiche del mondo il film Gojira, meglio noto in occidente col nome di Godzilla. Ma prima dell’immaginario di Tomoyuki Tanaka e prima di Godzilla, di cosa avevamo paura? Cosa temevano i nostri antenati romani?
Non esiste epoca in cui i mostri non siano esistiti. Incarnando le paure più profonde, le parti scabrose e maligne degli esseri umani, e la loro incapacità di spiegare molti fenomeni naturali, l’immaginario degli uomini è sempre stato costellato di esseri soprannaturali. Fin dall’antichità, infatti, accanto alle divinità non era raro trovare rappresentate numerose creature mostruose, non ultimi i fantasmi. E, i romani, a tal proposito, recuperandone parte dalla mitologia greca e dai racconti etruschi, credevano nell’esistenza di moltissimi esseri anormali, caratterizzati di proprietà estranee all’ordine naturale delle cose: un mondo oscuro che, a fianco a pratiche magiche e superstizioni, animava la vita, e le sfortune, degli abitanti della città.
Ad avviare questa rassegna “mostri nell’antica Roma“, cominciamo subito con la descrizione dei casi di licantropia (dal greco lycos, cioè lupo). Meglio conosciuti, tra le fila cittadine, sotto l’appellativo di versipelles (dal latino, muta pelle o muta forma), i lupi mannari potevano considerarsi una delle creature mostruose più terribili dell’antichità. E tuttavia, a differenza delle rappresentazioni moderne, secondo la tradizione, la condizione reversibile da lupo mannaro ad uomo, cui erano costretti non tutti ma soltanto alcuni stregoni, non avveniva a causa della luna piena, quanto piuttosto all’assunzione di alcune erbe particolari o pozioni specifiche.
(Fonte: Et in Arcadia Ego)
Contraddistinto dalla nudità, quindi dall’abbandono degli abiti umani, e dal ritorno ad uno stato selvaggio, quasi primordiale, il lupo mannaro, per i romani, trovava riparo nei boschi, nei cimiteri e nei luoghi paludosi, fuori le mura della città: era da qui che egli poteva, infatti, richiamare a sé l’oscurità, le anime dai sepolcri e ristabilire un contatto con l’aldilà.
Insieme ai lupi mannari, già Ovidio riportava, inoltre, la presenza, nell’antica Roma, di streghe dalle capacità piuttosto particolari. Indicate con il termine striga, dal latino strix, riconducibile agli uccelli notturni, spesso tradotto con la parola “vampiro” e associabile pure al rumore dei loro versi (le loro strida), le streghe dei romani non erano soltanto donne in grado di cambiare forma e trasformarsi in rapaci della notte (quindi, capaci di volare, come immaginato nella modernità), ma erano soprattutto creature alla ricerca di bambini, a cui succhiare via il sangue; o, in alternativa, di corpi defunti da trafugare.
(Fonte: La luce nel nero)
Era così, d’altra parte, che gli antichi spiegavano le morti precoci degli infanti: attraverso questi esseri tremendi che, temuti soprattutto da genitori e nutrici, se ne cibavano nell’oscurità.
Se credete che il Kraken, il mostro marino di Pirati dei Caraibi, sia un’invenzione frutto della fantasia dei nostri giorni, infine, vi sbagliate di grosso. A parte il suo rimando alla mitologia norrena, e forse a un termine norvegese, anche i romani avevano immaginato, in tempi non sospetti, la presenza di un mostro marino. Noto come uomo marino, l’ultimo mostro romano di cui vogliamo parlarvi riguardava, infatti, proprio il mare, le navi e i marinai che, durante la notte, potevano esservi assaliti. Creatura marina non così dissimile dal mostro greco Scilla, l’uomo marino poteva risalire dal nero degli abissi, appropriarsi delle navi e farle inclinare, fino a farle affondare.
(Fonte: Wikipedia)
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