Ambienti 1956-2010: Un Viaggio nel Design e nell’Arte
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Una targa di marmo, nei pressi del Pantheon, ne ricorda l’esistenza, sotto l’accezione di “ignobili taverne”. Di cosa si tratta? E Perché le taverne del Pantheon sono definite “ignobili”?
Se ne sta affissa su un muro di Piazza della Rotonda, al civico 14. Di fronte al Pantheon si trova, ancor oggi, una targa di marmo, in memoria dell’opera di smantellamento voluta da papa Pio VII, nella prima metà dell’Ottocento (per la precisione, nel 1823), con lo scopo di restituire ai turisti, e ai romani stessi, la bellezza della piazza in tutto il suo splendore. Qualcuno di voi l’avrà persino già vista e passandovi davanti avrà letto le sue parole:
«Papa Pio VII nel XXIII anno del suo Regno a mezzo di un’assai provvida demolizione rivendicò dall’odiosa bruttezza l’area davanti al Pantheon di M.Agrippa occupata da ignobili taverne e ordinò che la visuale fosse lasciata libera in luogo aperto»
Ma quanti di voi si sono chiesti che significato aveva? O cosa intendeva il papa per “ignobili taverne“?
(Fonte: AmmazzaCaffè)
Dovete sapere che, all’epoca, proprio nei pressi di questo meraviglioso monumento romano, i cittadini erano soliti organizzare veri e propri mercati, con carretti di frutta e verdura o banchi di pollaioli. Insieme a loro, poi, e presenti costantemente, i portici dei locali che si estendevano sulla piazza. Era in questi fabbricati che avevano sede quelle antiche trattorie che il papa definiva “ignobili taverne“. In sostanza, luoghi “di perdizione“, frequentati da clienti ubriachi che, nell’ebbrezza del momento, spesso infastidivano i passanti, i pellegrini o i viaggiatori stranieri, in visita nei luoghi simbolo della capitale. La spiegazione, tuttavia, sarebbe incompleta se a questo non aggiungessimo un fatto tutto particolare, avvenuto proprio tra le mura di questa meravigliosa “rotonda” romana.
(Fonte: Bizzarro Bazar)
C’è infatti chi sostiene che la definizione “ignobili taverne” si riferisse ad uno specifico evento di cronaca, databile qualche secolo prima. L’accaduto, tramandato dall’Abate Benedetti, vedeva protagonista proprio una di quelle locande. Pare che, da quelle parti, avessero trovato fortuna un norcino e sua moglie. I due erano talmente bravi nell’esercizio della loro attività da diventare presto meta gastronomica di molti romani affamati. E, tuttavia, la fama delle loro merci alimentari nascondeva all’interno una macabra verità. I loro prodotti, tanto gustosi, pare fossero composti infatti di pregiatissima carne…umana!
Quella che poteva definirsi solo una chiacchiera di condominio, comunque, cominciò ad espandersi, arrivando alle orecchie del Capitano di Giustizia. Due più due, l’uomo cominciò così a far qualche ricerca e, nell’intento di risolvere il mistero, a collegare le scomparse di alcune persone, avvenute lì intorno, a quella diceria. Per farla breve, gli accertamenti confermarono le ipotesi: era tutto vero, per quanto orribile potesse essere. I proprietari di quella locanda attiravano, con qualche scusa allettante, i clienti un po’ più carne; si affrettavano ad ucciderli brutalmente; ne bruciavano i vestiti; e alla fine ne mescolavano le membra al resto della macellazione. Per questo motivo, stando ad alcune fonti, papa Urbano VII, subito informato della vicenda, decise di risolvere la questione, montando un patibolo nella piazza, intorno al 1638.
(Fonte: Wikiwand)
Decretando la fine di quelle spaventose vicende, i due malfamati proprietari, tanto crudeli quanto scellerati, vennero uccisi, e più o meno nelle stesse modalità che loro stessi avevano utilizzato, con le loro ignare vittime (occhio pe’ occhio, dente pe’ dente). Le locande non vennero chiuse, tanto che oggi sono ancora lì, a due passi dal centro storico di Roma, ma a fargli compagnia, svetta pure la scritta, aggiunta successivamente come monito alle spregevoli azioni.
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