La Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami e la storia della sua confraternita
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Prima delle linee metro, prima della viabilità moderna, ai castelli romani c’arrivavi – eccome se c’arrivavi – ma te dovevi attaccà ar tram, letteralmente! Ve la ricordate la rete tranviaria dei Castelli Romani?
Sembrano passati secoli, sembra si stia parlando di chissà quale tempo remoto, ma appena sessant’anni fa veniva dismessa la linea tranviaria più importante del Lazio, quella che collegava Roma alle zone limitrofe dei Castelli Romani. Qualche genitore, o qualche nonno, lo ricorderà ancora: bastava un biglietto da 50£ – almeno dopo le 8, altrimenti addirittura 15£ (per i millennial che non riconoscono il simbolo, questo era l’emblema delle mitiche lire) – e, quel bel tram, attraversando la grande città, portava tutti i passeggeri dritti in direzione sud.
(Fonte: Tramroma)
L’azienda artefice, colei che aveva deciso di elettrificare a proprie spese i tronchi di spostamento, non si chiamava ATAC, ma STEFER, acronimo di Società delle Tramvie E Ferrovie Elettriche di Roma, ed era, per intenderci, l’antenata delle attuali A.CO.TRA.L e Met.Ro. Così, sedili di legno, in panca lunga per chi sceglieva l’imperiale (il piano superiore), o comodi cuscini di velluto per i più agiati della prima classe, col bigliettaio in fondo sullo strapuntino si partiva alla volta dei Castelli romani, su una linea in grado di connettere, in un colpo solo, Roma, Frascati, Velletri, Marino, Castel Gandolfo, Albano, Ariccia e chi più ne ha più ne metta e di agevolare – non di poco – gli spostamenti. Perché, ricordiamolo, la viabilità stradale non era mica ramificata come oggi!
Nel 1901, oltre cento anni fa, l’azienda riceveva la concessione per le linee Roma-Grottaferrata e Frascati-Grottaferrata-Genzano, insieme alla funicolare (non quella della Raggi), per contrappeso d’acqua, direzione Rocca di Papa, in esercizio fino al 1932. Il progetto, insomma, non solo garantiva gli spostamenti Roma – fuori Roma, ma permetteva di potersi muovere facilmente anche fra le varie cittadine dei Castelli romani. Spalmate su più tratte e piuttosto capillari, le linee tram godevano, infatti, di svariate diramazioni intra(ca)stellari (come quella di Squarciarelli – Valle Oscura). E, spostando il capolinea prima a San Giovanni poi nei pressi della Stazione Termini, il principale terminale di questa incredibile rete sorgeva in via Principe Umberto (successivamente denominata via Giovanni Amendola).
(Fonte: Wikiwand)
Il successo, come potete intuire, fu enorme; fu talmente tanto grande che, nel 1916, dopo aver inaugurato altre due diramazioni (una per Albano e una per Lanuvio, pesantemente danneggiata sul finire della Seconda Guerra Mondiale e mai ripristinata), questo suggestivo sistema di trasporto raggiunse la sua massima estensione.
Progettate specificamente per il servizio extraurbano della Capitale, le linee tranviarie si componevano di motrici e rimorchi a carrelli a due piani. E, per l’esattezza 8 motrici e 4 rimorchi, vi incuriosirà sapere che, quelli della rete dei Castelli, furono gli unici tram a due piani d’Italia, assieme alla tranvia Milano-Monza (riadattata ad un piano negli anni ’20). Tuttavia, sebbene protagonisti di un grosso traffico di utenti (tra lavoratori, turisti e villeggianti), come altre usanze anche questi antichi mezzi di trasporto non furono esonerati dalla modernizzazione che, di lì a breve, avrebbe modificato l’assetto della città.
(Fonte: Tramroma)
Così, gradualmente eliminati dal servizio negli anni ’50 – l’ultima unità fu demolita nel 1959 – rimasero un nostalgico ricordo dell’immaginario collettivo, facendo largo, da un lato ai cantieri della futura linea metro A di Roma, del settore Appio-Tuscolano; dall’altro, al crescente numero di automobili private. Accantonato il suo utilizzo, però, non si potè dire lo stesso della sua popolarità. Nel corso del tempo, la tranvia non perse mai il suo fascino, prendendo parte persino ad alcuni film. Uno dei vagoni, ad esempio, fece da casa a Totò e Pablito Calvo nella pellicola firmata Antonio Musu dal titolo Totò e Marcellino. E cosa dire della tradizionale gitarella fuori porta ai Castelli ancora in voga?
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