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Se siete andati a Villa Borghese in questi giorni e avete visto alberi tutti colorati, tranquilli è tutto normale: è la mostra Back to nature, a Roma dal 15 settembre! Condividete con noi la vostra esperienza su Facebook o Instagram!
Dal titolo ambizioso “ritorno alla natura“, la mostra d’arte contemporanea, a cura di Costantino d’Orazio, approfitta degli spazi verdi di Villa Borghese e si fa largo, fra il Parco dei Daini e l’area di Piazza di Siena, fino al 13 dicembre.
Se molti di voi hanno passeggiato all’interno della Villa più celebre della Capitale, conosceranno sicuramente la sua ampia vegetazione (non a caso, qualcuno la definisce “il polmone di Roma”). Ebbene, proprio nei suoi lunghi viali alberati, che costeggiano le enormi distese di prato, è stato deciso di posizionare, negli ultimi giorni, le installazioni contemporanee di artisti italiani, di fama mondiale.
Le opere d’arte entrano in dialogo, con la natura e le antiche sculture di Villa Borghese, attraversando l’intera area del parco, spiega il curatore, e l’obiettivo preciso non è solo valorizzarne alcune parti, ma metterne in discussione la loro percezione comune, incrinarla, per far emergere nuove opportunità. Non si tratta di semplici sculture all’aperto, ma di installazioni che hanno come filo conduttore la trasparenza: ci sono, si vedono, ma si integrano perfettamente al luogo, quasi fossero trasparenti appunto! Così che la connessione armonica arte – natura, alla fine, diventi un monito per i visitatori, un leitmotiv, generato e retto da una chiara riflessione sul futuro. Alla luce dei recenti cambiamenti climatici, dell’inquinamento ambientale e dell’emergenza sanitaria globali, Back to nature è un invito a riconsiderare il rapporto, sempre più problematico, tra esseri umani e natura.
Andreco, Mario Merz, Mimmo Paladino, Benedetto Pietromarchi, Davide Rivalta, Grazia Toderi, Edoardo Tresoldi e Nico Vascellari: questi i nomi degli artisti protagonisti, e creatori, di questa nuova e magica sinergia, da scoprire passo passo.
Se c’è un impegno, che l’arte ha sempre portato avanti con coraggio, è quello di mettere in crisi, attraverso le sue creazioni, i valori e le pratiche di un mondo, oggi sempre meno attento. Il linguaggio universale dell’arte porta in superficie le difficoltà, le mostra, le affronta, mettendo a disposizione di tutti, indifferentemente, la sua presa di posizione, la sua battaglia e le possibili soluzioni.
Stavolta, nell’eterna Roma, la prospettiva è ancora più potente, perché l’opera raggiunge il fruitore nei suoi luoghi, quelli che abitualmente frequenta, gli spazi che più utilizza, come Villa Borghese. E se da un lato, questo, si può tradurre come tentativo di avvicinamento dell’arte all’uomo, dettato dal (sempre più) vasto disinteresse verso il panorama artistico; dall’altro è il forte indice di una evidente urgenza: il discorso sulla natura è talmente necessario, da non poter aspettare più!
Se non si vuol capire (e per arrivare ad ognuno) l’arte deve uscire dai musei, deve “invadere” la percezione comune, l’ambiente quotidiano, per renderci in cambio la possibilità di un rapporto nuovo, con ciò che già conosciamo (o meglio, ci sembra di conoscere).
Scuotere, turbare, far pensare, rimodulare, rendere visibile: queste sono solo alcune delle intenzioni, delle installazioni. La loro esistenza, rende l’arte portatrice – a volte volontariamente scomoda – di un arduo compito: risvegliare le coscienze assopite di chi vede ma non osserva, di chi sente ma non ascolta e di chi crede si possa mettere a repentaglio, ogni giorno e in ogni modo, un mondo, di cui ci siamo prepotentemente appropriati, perdendo il controllo. Se l’allarme della natura non basta, allora l’arte si schiera e prende in prestito la natura stessa, per darle un volto, per renderla presente, per restituirle una voce, senza dominarla, senza distruggerla: l’arte dimostra, a gran voce, che l’equilibrio è possibile!
Perciò non mancheranno, anche, performance musicali e interventi di street art, per tutto il periodo di esposizione, perché tutto è stato concepito intorno ad un unico ed essenziale scopo: richiamare il pubblico, sensibilizzarlo – fallo sta’ sur pezzo, insomma (e non solo quello musicale!) -.
Allo stesso modo, l’arte contemporanea, da molti tacciata come incomprensibile, tenta il riscatto, come spiega Costantino D’Orazio: «mi piace molto l’idea di presentare opere, di artisti dalla ricerca consolidata, a un pubblico che non è avvezzo all’arte contemporanea. La maggior parte delle persone che vedrà queste opere non sa che si tratta di una mostra, ed è importante che le opere non creino interrogativi che rimangano senza risposta, anche perché non fa bene all’arte. Le opere che si fregiano in qualche modo della loro incomprensibilità fanno male all’arte stessa. Anche chi non è preparato vorrei che apprezzasse il lavoro di questi artisti: le opere non sono semplici installazioni che rimangono ‘ferme’, ma diventano strumento per produrre anche performance, diventandone parte integrante».
A Roma ce piace parla’ chiaro, quindi se l’arte deve funzionare come messaggio, come attizzatrice (di orecchie e) di pensiero, come stimolo a ciò che stiamo tralasciando, deve farsi capire e deve rendersi, quanto più possibile, vicina alle persone, (a volte addirittura) deve potersi far toccare, usare: deve essere esperienza in tutti i sensi, altrimenti sarà stato vano.
E cos’ è meglio, in questo senso, dell’arte contemporanea, al passo coi tempi, nella città che più di tutte ha saputo conquistare il mondo?
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