Carmentalia, un’antica celebrazione di sapienza e profezia
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A Roma c’erano gli elefanti, lo confermano studi e scavi archeologici e, anche se oggi vi può far sorridere, il territorio romano era una terra davvero ambita da questi enormi animali. Avete mai sentito parlare del museo Pleistocenico?
Sono rimaste nascoste, per anni, sul fondo del fiume Aniene. È li che gli esperti hanno rinvenuto il maggior numero di zanne d’elefante a Roma. E, tuttavia, quando si parla di elefanti la mente del romano corre subito alle guerre puniche e al celebre condottiero cartaginese Annibale, colui che tentò di conquistare Roma, attraversando le Alpi, adagiato sul dorso dei suoi elefanti. In altre parole, pensa a questi incredibili animali non solo fuori le mura della città, ma associandoli ad un preciso periodo storico. Reazione più che comprensibile: come si può pensare che Roma sia stata terra d’elefanti? Ma andiamo con ordine. È vero, quando l’esercito romano sconfissero Pirro, per la prima volta i cittadini dell’Urbe videro questi magnifici animali, decretandone per sempre il destino nella città.
(Fonte: Studio Rapido)
Da quel momento, infatti, gli elefanti non se ne sarebbero più andati. Dapprima, fu Mario Curio Dentato a sfilare, tra le strade di Roma, in sella a quattro enormi pachidermi, nel 275 a.C., ma quattro anni più tardi l’usanza si diffuse talmente tanto che un altro console fece lo stesso, con un numero di elefanti ancora più elevato (circa centoventi). Stavolta, l’animale arrivò persino ad essere raffigurato, come simbolo della famiglia, su alcune monete dell’epoca. Per qualcuno, toccò poi all’imperatore Adriano usufruire della forza di questi incredibili pachidermi, su l’occasione di spostare una statua di Nerone dalla Domus Aurea.
E che dire dell’elefante come simbolo di una delle legioni più importanti di Roma? Pare, infatti, che i legionari della V Alaudae del generale Giulio Cesare, durante la battaglia di Tapso, muniti di lunghe aste, misero fuori combattimento i grossi pachidermi, decidendo in seguito di farne il loro emblema. E ancora, qualche anno dopo (nel 46 a.C.), lo stesso Cesare, per celebrare la vittoria sulle Gallie, salì al Campidoglio accompagnato da un corteo di quaranta elefanti!
(Fonte: Lamenta.it)
L’importanza degli elefanti divenne tanto importante all’interno dell’Urbe che le stilizzazioni di questi animali cominciarono ad apparire non solo sul denario di Cesare, ma sul sesterzio di Tiberio, nei coni emessi da Nerone, da Tito, da Domiziano, da Commodo e da altre illustri personalità romane. In età Imperiale, gli elefanti si esibivano nelle arene; era utilizzati per la caccia e per la lotta; e chi riusciva a sconfiggerli era degno della più alta gloria. Per questo motivo, secondo alcuni storici, Commodo si prestò spesso a questo genere di battaglie.
Animali sacri soprattutto al dio Apollo, gli elefanti erano considerati animali dotati di una spiccatissima intelligenza, oltre che di una potenza e operosità disumana. Ora, però, proiettiamoci ancora più indietro nel tempo, a prima dell’avvento dell’Impero romano e, ancora più in generale, di ogni altra civiltà laziale. È su questo piano che saremo in grado di scoprire davvero un altro mondo. Partiamo, dunque, da un fatto abbastanza risaputo, cioè che gli Elefanti Antichi potevano considerarsi una specie tra le più diffuse, circa 800.000 anni fa. Stiamo parlando dello “straight-tusked elephant” (Palaeoloxodon antiquus), nelle ben più grandi dimensioni dei nostri pachidermi attuali.
(Fonte: MaisterDruke)
A questo proposito, allora, ossa di questi antichi elefanti furono rinvenute al centro di Roma: a piazza Venezia (durante gli scavi eseguiti per realizzare il Vittoriano), a via dei Fori Imperiali e nel sito della Sedia del Diavolo, vicino Piazza Vescovio. Per oltre un milione di anni, gli elefanti abitarono la campagna romana, e intorno all’Ottocento, in seguito ad alcuni interventi d’urbanizzazione, furono ritrovate tracce di intere colonie d’elefanti, risalenti al Pleistocene medio, non solo lungo le sponde dell’Aniene, ma lungo la valle del Tevere, a Casal de’ pazzi, a Rebibbia (vedi anche la facciata della metro, opera di Zerocalcare) e su via Nomentana. Per questo motivo, a via Egidio Galbani 6, sorge ancor oggi un suggestivo museo, dedicato a questi suggestivi ritrovi. Un catalogo di reperti che supera abbondantemente le 2.000 ossa, fra denti e zanne, lunghe almeno 4 metri: il Museo Casal de’ Pazzi.
(Fonte: Artribune)
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