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Uno dei periodi più amati dell’anno dai romani? Il carnevale, coi suoi grandiosi festeggiamenti. Per questo, il primo premio DolceRoma in diretta streaming sarà dedicato ai dolci fritti del carnevale romano. Quali sono? E cos’era la festa dei moccoletti?
Se se ne volessero descrivere almeno due, delle più famose maschere del carnevale romano, si dovrebbe certo partire dalla principale: il celebre Rugantino. Di nascita Trasteverino e impertinente, questo personaggio rappresentava l’archetipo del vero attaccabrighe. Pronto a battersi, provocando discussioni e risse, in modo buffo e simpatico, spavaldo e coraggioso, spiritoso e impertinente, Rugantino raccontava spacconate e voleva sempre avere ragione, perciò la sua caratteristica era la ruganza, cioè l’arroganza.
«Cor cappello a du’ pizzi, cor grugno lungo du’ parmi, co’ ‘na scucchia rivortata ‘nsù a uso de cucchiaro, co’ no’ spadone che nun ce la po’ quello der sor Radeschio, e co’ le cianche come l’Arco de Pantano, se presenta, Signori mia, Rugantino er duro, nato ‘nsto piccolo castelluccio e cresciuto a forza de sventole, perché ha avuto ‘gni sempre er vizio de rugà e d’arilevacce»
(Fonte: Teatro.it)
Così lo descriveva il primo direttore della rivista omonima, Odoardo Zuccari: nelle vesti caricaturali di un gendarme, dagli atteggiamenti da duro, ma in realtà pavido nei fatti. La maschera tipica, quindi, lo vedeva vestito in due maniere: da sgherro, vestito di rosso col cappello a due punte, oppure da povero popolano, con calzoncini logori, fascia intorno alla vita, camicia con casacca e fazzoletto al collo.
Infine, l’altra suggestiva maschera romana sarebbe Ghetanaccio, soprannome romanesco di Gaetano Santangelo, un famoso burattinaio romano realmente esistito fra il ‘700 e l’800 e interpretato, in una celebre commedia a teatro, dal geniale Gigi Proietti.
(Fonte: Fanpage)
Simpaticamente descritto da Zanazzo, amante di folklore e tradizioni:
«Era un celebre burattinaro; arto, palido, vestito cor un sacchetto de cottonina e con un baretto co’ la visiera che je copriva la capoccia: e una fame, poveraccio, che se la vedeva coll’occhi».
Per questo, d’altra parte, s’era ingegnato: per sbarcare il lunario, era diventato un artista ambulante, trasportando sulle spalle il suo castello (il suo teatrino)
(Fonte: Wikipedia)
per le vie, le piazze o all’interno dei palazzi della nobiltà romana, ove spesso era chiamato a rallegrare feste e banchetti, solitamente ornati così, alla Proietti docet:
E voi ne conoscete altre?
Origine negli antichi Saturnalia, festività caratterizzate da divertimenti pubblici, cerimonie, balli e maschere, il carnevale romano si caratterizzava per grandi festeggiamenti. Inizialmente, si svolgevano sul monte Testaccio, poi furono spostati in via Lata (attuale via del Corso). Evento principale, oltre alla corsa dei cavalli (abolita dopo l’Unità d’Italia, perché causa della morte di un ragazzo travolto), era la suggestiva festa dei moccoletti, la sera del martedì grasso, di cui troviamo traccia sempre in uno scritto del Zanazzo. Stando alla sua descrizione, ognuno doveva accendere un moccoletto, cioè una candela col cartone colorato intorno, e doveva provare a spegnere quella altrui. Riuscire a farlo, ovviamente, suscitava ilarità, in un corri corri generale al grido di “senza moccolo, senza moccolo“!
«L’urtimo giorno de Carnevale,
ammalappena sonava l’Avemmaria (anticamente sparava puro er cannone),
tutti quelli che sse trovaveno p’er Corso,
sii a ppiede, sii in carrozza, sii a cavallo, sii a le finestre,
accennéveno li moccoletti.
Poi co’ le svèntole,
co’ li mazzettacci de fiori, o co’ le cappellate,
ognuno cercava de smorza’ er moccolo a ll’antro, dicènno:
– Er móccolo e ssenza er móccolo!
Avevi voja, pe’ ssarvallo,
de ficcallo in cima a una canna o a un bastone,
o a fficcatte in un portone!
Era inutile. Tutti te daveno addosso;
e o ccor un soffietto, o ccor una svèntola
o cco’ ‘na manata o ‘na mazzetta
te lo smorzaveno in ogni modo, urlanno:
– Er móccolo e ssenza er móccolo; abbasso er móccolo!»
Dato che poi “a panza piena” – si sa – ogni cosa viene meglio, il carnevale romano prevede da sempre la realizzazione di alcuni dolci tipici, per lo più fritti. Così, “panza mia fatti capanna”, sulle tavole romane ancor oggi non possono mancare due tradizionali prelibatezze: le frappe fritte, sottilissime sfoglie di pasta fragranti e friabili; e le castagnole, palline di pasta fritta morbide, passate nello zucchero ancora calde, negli ultimi anni anche riempite di crema pasticciera.
(Fonte: Il faro Online)
In aggiunta, seppure meno gettonate, troviamo altre due preparazioni: da un lato, i bignè di San Giuseppe; dall’altro, belli squadrati, i ravioli dolci, sempre fritti, e ripieni di ricotta.
Per questo, il premio DolceRoma, che si avvia alla prima premiazione, consegnerà il primo premio a colui o colei che realizzerà il miglior dolce fritto carnevalesco della Capitale! Chi vincerà? Seguitela in diretta streaming online!
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