“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Ogni festività, fateci caso, si porta dietro qualche simbolo. Quali sono quelli di San Valentino? E perché si usano?
Avete mai provato a quantificare l’amore? È impossibile, tanto quanto spiegarne le fattezze. Perciò, per descriverne le caratteristiche, si fa spesso riferimento alle qualità della persona amata o si elencano una serie di esperienze, termini, situazioni altre. È così difficile che, nessuna delle parole che gli si attribuiscono gli è davvero adeguata: l’amore aleggia, intorno a tutto ciò che diciamo sull’amore. È un dato di fatto: sfugge alle parole. Mai definitivo e mai completo, il suo significato non ha luogo che nel sentire. Così, è vero, l’amore esiste ma si comprende soltanto nel momento in cui si prova. Per questo motivo, poeti, cantanti, scrittori, artisti di ogni genere non smettono di rappresentarlo, di metterlo al centro delle loro composizioni, nel vano tentativo di dargli finalmente un senso.
(Fonte: Cambiriams)
Un compito, che ricorda e reitera lo sforzo di Cordelia. Una giovane figlia che, nel Re Lear di Shakespeare, alla richiesta di esprimere a parole l’amore per il padre, pronunciò l’intramontabile battuta: «sono certa che il mio amore pesa più della mia lingua». Manifestazione, questa, dell’unico verdetto possibile sull’amore che, quando si palesa si riconosce, senza troppi orpelli, senza troppe definizioni, senza troppi concetti: in altre parole, si spiega soltanto con l’amore, ché l’amore ha l’amore come solo argomento – cantava De Andrè.
Ed è forse per questa sua evanescenza, questo suo indistinto profilo, così potente quanto profondamente inarrivabile, che associamo l’amore a dei simboli, quasi potessero restituircene un’immagine meno parziale, soprattutto a San Valentino.
Noi ne abbiamo selezionati alcuni, fermo restando quanto possano essere vari e cambiare di amore in amore, di epoca in epoca (qualcuno di voi ricorderà i lucchetti, vero?).
L’anatomia ci dice che è soltanto un muscolo, ma per noi un bel cuore rosso vuol dire molto di più. Perché lo associamo all’amore?Fateci caso, ogni volta che proviamo un’emozione, bella o brutta, di felicità o dolore, la percepiamo mediante uno specifico movimento muscolare dell’alto addome. Il cuore accelera, il cuore rallenta, il cuore sembra saltarci in gola o pare fermarsi e rompersi – letteralmente – in molte occasioni.
(Fonte: DecoroeArredo)
Perciò, in passato, era considerato la sede dell’anima, l’immagine della vita. E, sebbene oggi sappiamo che è il cervello a custodire le emozioni, associamo ancora il cuore ai sentimenti, perché lo sentiamo. Noi ne captiamo i movimenti, un pò come per lo stomaco che, infatti, diventa anch’esso traduttore fisico di specifiche emozioni, quando affermiamo, per esempio, “mi si è chiuso lo stomaco“, “ho una stretta allo stomaco“, oppure “sento le farfalle nello stomaco“.
Medesimo discorso anche per le rose rosse, spesso utilizzate come simbolo d’amore. Sarà per la caratteristica simil concentrica dei petali, che sembrano infiniti fino al centro, o per il loro colore, ma quando si vuole fare un regalo alla persona amata non è raro acquistare un bel bouquet di rose rosse. Perché? Intorno alla motivazione di questo dono esistono svariate ipotesi. La prima risale all’antica Roma: i romani, associandola al mito di Adone e Afrodite, vedevano nella rosa l’espressione di un’amore talmente invincibile da superare la morte. Secondo la leggenda, infatti, Afrodite nel tentativo di soccorrere l’amato Adone, trafitto da un cinghiale, si ferì con delle spine.
(Fonte: Italiainfiore.it)
Al posto del sangue nacquero, però, delle bellissime rose e Zeus, commosso dal dolore della dea, permise ad Adone di vivere soltanto quattro mesi nell’Ade, quattro nel mondo dei vivi, e altri quattro dove avrebbe preferito. Allo stesso modo, altri legavano la rosa a Cupido, anche lui punto da una spina. Nella letteratura, poi, l’emblema della rosa è riportato in tantissimi testi. Non ultimo Il piccolo principe, nel quale la rosa, per Antoine de Saint-Exupéry, assume un’importanza essenziale: destinataria di un impegno e di una promessa, che la dipingono tanto unica quanto immagine della persona amata.
Ultimo dei simboli che vi proponiamo è la scatola di cioccolatini. Utilizzato prima di tutti dagli Aztechi, il cioccolato, di lontana e tarda provenienza, per gli europei, fu consumato in forma di bevanda amara e per lungo tempo dalle popolazioni indigena di Messico e America centrale, come rimedio naturale contro spossatezza e malumore. Fu, infatti, un leggendario capo azteco, Montezuma II, a decretarne le proprietà afrodisiache. Soltanto intorno al ‘500 gli spagnoli, invadendo l’America e sconfiggendo gli Aztechi, portarono in occidente, le popolari fave di cacao. Ben presto anche la Spagna ne divenne ossessionata, al punto da attirare l’interesse della Chiesa che, dopo svariate indagini, condannò il cioccolato, in quanto afrodisiaco, a cibo lussurioso e peccaminoso.
(Fonte: Robert Fulghum)
Bisognerà attendere il ‘600 affinché il suo uso si estenda prima in Inghilterra, poi nel resto dell’Europa, fino ad arrivare all’invenzione dei cioccolatini. Fu per mano di un chimico olandese, Johannes van Houten che, nel 1828 venne inventato un apposito macchinario, per la lavorazione del cacao. Infine, si deve a Richard Cadbury, del tuttora famoso marchio di cioccolato, la trovata dei cioccolatini come dolci simbolo della festa di san Valentino. Lanciò per primo delle confezioni di cioccolatini, da regalare il 14 febbraio, suggerendo di non gettare via le scatola, utile a conservarvi lettere d’amore segrete, le cosiddette “valentine“, altro grande simbolo della festività – purché ben scritte! -.
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