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Giudice nell’edizione in corso del premio DolceRoma, Dario Nuti, Executive pastry chef dell’Hotel Rome Cavalieri, Waldorf Astoria, ci ha raccontato la sua storia, la sua passione e il suo modo di vivere la pasticceria
«Vengo dal Mugello, sono cresciuto nella campagna fiorentina, sicché i miei trascorsi lavorativi partono da là, da Firenze e dal Four Seasons. Inizio la mia carriera in cucina, poi intorno al 2006-2007, passo nel reparto pasticceria e comincio a lavorare in laboratorio. La passione per i dolci era iniziata da piccolo, abitando in campagna c’era il culto della cucina e del dolce a fine pasto. A casa mia, del dolce se ne occupava sempre mio padre, crearlo con lui diventava un gioco, un modo per divertirci insieme. Tutto parte dal gioco, insomma, e poi la pasticceria è diventata la mia vita. Dal Four Season, in cui prendemmo la stella Michelin, fui contatto dall’Imágo dell’Hotel Hassler per diventare responsabile del reparto pasticceria, al fianco di Francesco Apreda. Sono rimasto lì per 7 anni, anni molto intensi e belli, fino alla chiamata dell’Hilton. La proprietà del Rome Cavalieri aveva deciso di creare un apposito reparto pasticceria all’interno dell’Hotel. Mi hanno chiesto se volessi tirar su questo progetto: da due anni e mezzo sono qui e sono felice di dire che la pasticceria si è sdoganata, al Rome Cavalieri»
«D’ingrediente non ce n’è uno solo. Più che a quello, guardo alla commistione della ricetta in sé. Adoro fare i lievitati, per esempio, come il panettone, ma quello che mi piace, più d’ogni altra cosa, è stupire i clienti con il gusto. Un gusto, che ho costruito negli anni, viaggiando tanto, in Europa e fuori, visitando l’India, l’America, il Sud Africa, alla ricerca di connubi particolari»
«Si è stata una delle mie sfide più difficili. Volevo regalare qualcosa a Roma, ma allo stesso tempo dare una nota di nord. Così ho preso la ricetta del panettone, dolce classico dell’Italia Settentrionale, e l’ho stravolta in chiave romana»
«Si certo. In molti eventi, ma anche in molte Accademie di pasticceria come l’Alma»
«Apprezzo le sfide, l’opportunità di metterci la faccia e, quindi, misurarsi. Se non hai un giudizio da parte di qualcuno, mettendoti in gara con altri colleghi, non saprai mai com’è realmente il tuo prodotto, quali sono i tuoi punti di forza o le tue carenze. In particolare, in queste competizioni è sempre bello vedere la materia prima rispettata e la voglia, degli sfidanti, di mettersi in gioco»
«La passione deve essere la nota di fondo, ma non la parte fondamentale. Bisogna ricordarsi che, in certi momenti, soprattutto quelli in cui vanno fatte cose abbastanza meccaniche, subentra la pressione più che la passione. Insieme a questa, poi, il rispetto della materia deve essere totale. Nel 2021 non possiamo più permetterci – né possiamo nasconderci dietro – sapori artificiali, sappiamo come sono composti i vari nutrienti e dobbiamo stare attenti a tutti gli aspetti, per esaltarli. La pasticceria è un’arte, sempre più nobile, sta a noi professionisti continuare, su questo percorso di nobiltà, affinandola. Sta a noi ricercare e interrogarci, per continuare a migliorare e migliorarla. In questo senso, non bisogna mai sentirsi arrivati, anche quando si è stellati, perché è l’inizio della fine»
«Si è vero, una volta ho creato un gelato ai funghi porcini: è piaciuto pure ai bambini. Creare un dolce vuol dire, secondo me, creare anche dei punti interrogativi. Il miglior test, ovviamente, è l’assaggiatore finale. Uno dei miei banchi di prova è il brunch della domenica in cui, insieme ai classici, inserisco abbinamenti meno consueti, più particolari, più innovativi. In fondo, è il preconcetto sull’utilizzo di un ingrediente che ti porta a preferire i soliti connubi. Sono i blocchi e i tabù mentali che cerco di sfatare»
«Contano quotidianamente. Io parto da un concetto: aggiungere lo zucchero quando serve. Non penso la pasticceria soltanto a partire dalla “base zucchero”, anzi parto dal toglierlo e metterlo quando necessario, perché prima di ogni cosa va esaltato il sapore puro della materia prima. Dal mio passato, mi porto dietro il rigore e la tecnica dal Four Season e l’innovazione e la ricerca dall’Hassler»
«In questo momento, più che un ingrediente, sto cercando di ritornare al crudo, una cosa che osservo molto nel resto del mondo e in Francia. Credo che una volta acquisita la tecnica, sia necessario ritornare all’essenza del dolce stesso. Fare un dolce perfetto esteticamente, non è sinonimo di creazione perfetta o di gusto impeccabile. Perciò, mi pongo domande e quesiti sui sapori, continuamente, per creare qualcosa di non scontato. Tuttavia, il lockdown ha fermato anche me e le mie mani in pasta ed è stato difficile sperimentare»
«Stare, o meglio, abitare il mio laboratorio significa continua sperimentazione. Stare a casa è stato un problema: si possono rimettere a posto le ricette, ma non si può fare tanto altro. Per me, il laboratorio è il luogo in cui esprimere le mie fantasie»
«Fantasia e arte. Esprimere arte attraverso un dolce»
«Certamente. Sono un appassionato d’arte. La pasticceria a differenza della cucina, e similmente all’arte invece, non sfama il corpo, ma sfama prevalentemente la mente. Potremmo dire sia un bluff. Perché, si sa, fisicamente gli zuccheri non fanno bene, ma il dolce beffa il corpo, creando soddisfazione per la mente, in un quadro di felicità ed emozioni momentanee. Questo è per me la pasticceria: donare emozione senza sfamare davvero e regalare sorrisi. Se ci pensi, dopo un pasto completo, non si ha bisogno del dolce, eppure lo si prende»
«Oltre l’arte, spesso attingo dai ricordi del mio passato, i sapori della mia infanzia, i viaggi fatti. Sono convinto che ogni emozione si possa tradurre in pasticceria e io mi porto dentro tanti sapori, odori e colori, del mondo e dei posti che ho visitato»
«Roma per me è la città senza tempo. Ogni vicolo ti meraviglia e, per chi crea, sentire dentro di sé lo stupore è essenziale. Siamo parte di una città che vince per clima, colori e scorci. Una città, in cui ogni via ti racconta una storia. Roma per me è tanto»
«Sono molto legato alla zona del Vaticano e a Trastevere»
«Nihil difficile volenti (“nulla è arduo per colui che vuole“). Una frase, che mi ripeteva sempre il mio professore di italiano e che continuo a portare con me»
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