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Ce lo siamo subiti tutti, il Natale coi parenti, ché si sa “Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi”. Eppure, nun c’è mai pesato, perché er Natale è sempre ’na festa! Ma voi il cottìo ve lo ricordate?
Quando si diventa adulti, si sa, il periodo di Natale non è più lo stesso, assume il sapore un po’ nostalgico dell’infanzia andata e, di fatto, perde un po’ di quella particolare magia, spensieratezza e curiosità di quando si era solo bambini, naso all’insù e occhi sognanti. Sempre più alle prese con la velocità, gli impegni e le scadenze del “mondo dei grandi” quei giorni dell’anno tanto attesi, strepitando da piccolini, si trasformano in momenti di calma, rare occasioni da passare insieme alla famiglia, nella – forse maggiore – consapevolezza di un tempo che scorre inevitabile. Fateci caso, si sposta l’attenzione dai regali alle persone, dalla quantità alla qualità dei momenti e si cerca di costruire quanti più ricordi possibili, come veri doni davvero preziosi a lunga conservazione. Perciò, si godono meglio la tavolata piena di parenti, il pranzo che si prolunga fino alla cena, le partite a carte, la tombolata infinita a cui, di norma, se fai ambo nun vinci mai – e guai se cambi posto che porta male! – e i bottoni che cominciano a stringere, all’incirca dall’antipasto in poi.
(Il Riformista)
Per non parlare della sera prima: la Vigilia! Già perché, per precisione, il Natale a Roma comincia dalla Vigilia: è dopo il cenone che i credenti si trascinano pienotti a messa (a Piazza San Pietro, magari) ed è alla mezzanotte del 24 dicembre che i più piccoli scalpitano per scartare i regali. E vogliamo dimenticare lo zio simpatico che si traveste da Babbo Natale e che puntualmente, più che divertire, spaventa i bambini, causando la nota e compassionevole preoccupazione delle nonne?
Lo sappiamo che ve lo ricordate: ogni famiglia vive il Natale così, anche la più litigarella, perché i bocconi del risentimento e dell’amarezza, a Natale, si mandano giù insieme a qualche fetta di pandoro – che tanto er panettone co’ l’uvetta resta sempre lì e ce se fa’ colazione pe’ le seguenti du’ settimane! E tanto basta, per essere felici! Quello che farete fatica a ricordare è invece l’usanza del cottìo. Nato nel medioevo, intorno al XXII secolo, e protratto fino agli ultimi anni dell’800 al Porto d’Ottavia, nei pressi della Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, il cottìo era una tipica asta del pesce, a cui era possibile recarsi per acquistare le materie prime del cenone che, ad onor di tradizione, è sempre stato a base di pesce.
(Fonte: Rerum Romanarum)
La Vigilia di Natale rappresentava, infatti, per la religione cattolica un momento sacro e, ancora oggi, il divieto di mangiare carne è il monito a ricercare un pasto alternativo, il famoso “pasto magro” – che oggi tanto magro non è – composto di cibi austeri, poveri, a mo’ di fioretto. Così alla vigilia della Vigilia, dalle prime ore del 23 dicembre fino a l’esaurimento del pesce proveniente da Anzio, Civitavecchia e Nettuno, i romani si accalcavano al mercato del pesce per accaparrarsi l’offerta migliore del cottìo (dal latino coctigium). Il più folcloristico appuntamento romano (e molti dei nostri nonni lo ricorderanno ancora) diventava allora un vero e proprio momento di festa: uno spettacolo battuto ad asta, al di là delle divisioni sociali.
«Poi entra er gallinaccio, poi l’abbacchio,
L’oliva dolce, er pesce de Fojjano,
L’ojjio, er tonno, l’anguila de Comacchio.
Insomma, inzino a nnotte, a mmano ammano,
Te llì tt’accorgerai, padron Ustacchio,
Cuant’è ddivoto er popolo romano»
(Giuseppe G. Belli, La Viggija de Natale, 1832)
(Fonte: Agrodolce)
La compravendita, nelle vesti di una vera e propria contrattazione, avveniva soltanto in termini gergali, comprensibili ai cottiatori, venditori che battevano il pesce, e agli acquirenti. Insomma, una vera e propria piazza allegra ad anticipare il Natale! Non era raro, poi, vedere i grossisti regalare cartocci di pesce fritto. Così, in tavola, di solito arrivavano: minestra di pesce, capitone, anguilla fritta e baccalà con pinoli e uvetta, seguiti dagli immancabili broccoli fritti. Lo spettacolo del cottìo, negli anni, subì vari traslochi: prima spostato a piazza San Teodoro dove, passando per Porta Portese e Porta San Paolo, il pesce arrivava sui banconi del mercato, venne poi portato, nel 1927, ai mercati generali di via Ostiense.
Infine, la tradizione si è andata perdendo e oggi, come ogni tipicità ormai dimenticata, risiede soltanto nella memoria di alcuni romani. A noi però piace ricordarla perché, oltre ad essere parte della storia culturale di Roma, nel ricordarla sono evidenti caratteristiche che non abbiamo mai perso: il nostro essere festosi, caciaroni: ’nsomma romani!
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