Daniele De Rossi, la bandiera della Roma anche in panchina
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Il 2 novembre 1975 si spegneva a Roma Pier Paolo Pasolini, lo scrittore friulano, naturalizzato romano, che fece della capitale il palcoscenico della sua vita e dei suoi scritti…
Spiegare Roma, attraverso gli occhi di Pasolini, non è mai semplice, ed è forse questa complessità a spingere tanti, continuamente, a farlo. Se da un lato, parlare di questo artista, poliedrico e versatile, significa fare i conti con una figura che negli anni (e nel ricordo, di quegli anni) destò importanti polemiche, per via di alcune affermazioni radicali; dall’altro, raccontare il suo rapporto d’amore con Roma vuol dire parlare di una relazione, anch’essa, costantemente controversa. Di un’oscillazione che, sostanzialmente, si muoveva tra due mondi piuttosto lontani: la borgata, la povertà delle periferie e la “Roma bene”, borghese, dei quartieri più abbienti della città. Ed è proprio in questo divario, in questa perenne “separazione”, che si dipingeva la Roma di Pasolini, all’interno dei suoi film e dei suoi libri. Opere che possono considerarsi, oggi, quasi finestre su una città differente e punti d’osservazione, che prendono vita nella varietà dei protagonisti.
Sulle tracce di Pasolini, allora, cerchiamo di individuare cinque luoghi simbolo della città, per descrivere la storia di questo friulano trapiantato a Roma, nel 1950.
È nel cuore di Roma, all’interno del Ghetto ebraico, che Pasolini instaura il suo primo contatto con la città. In una stanza in affitto, insieme alla madre, il 28enne fa avanti e indietro come insegnate in una scuola privata di Ciampino. La meglio gioventù, iniziata in Friuli, è ancora in bozze, ma è proprio in questo rione, in uno dei ghetti più antichi al mondo, che comincia a buttar giù un suo nuovo romanzo, Ragazzi di vita, e i suoi primi scritti romani, Squarci di notti romane e Gas e Giubileo. Merito di una conoscenza, della cultura romanesca, che piano piano si sta delineando, grazie alle passeggiate sul lungotevere con l’amico Sandro Penna e l’aiuto di un imbianchino, Sergio Citti, che lo istruirà sul dialetto e le espressioni gergali tipiche della città.
Qualche anno dopo, racimolati un po’ di soldi con l’insegnamento, è a Rebibbia che Pasolini riesce a prendere in affitto una casa, molto umile e modesta, per lui, la madre e il padre (che nel frattempo li raggiunge). Comincia, così, a fare i conti con la vita della borgata, con la sua povertà; a studiarne le dinamiche; e ad assaporarne il sentimento (autenticamente) popolare, giungendo a quella sua posizione (espressiva e contenutistica) che manterrà per tutti gli anni a venire. Non a caso, è ispirandosi al quartiere Pietralata, e alla vita dei suoi abitanti, che metterà in scena Una vita violenta: tra criminalità e senso di solidarietà e comunità ritrovato.
E, tuttavia, quando si parla di Pasolini e delle sue opere, la mente corre subito ad altre zone della città, come via del Mandrione e il quartiere di Tor Pignattara. Luoghi in cui, all’epoca, miseria ed emarginazione facevano da padrone, tra baracche e famiglie sfollate a causa dei bombardamenti del ’43 su San Lorenzo. In mezzo a fango e stracci, è proprio qui che Pasolini ambienterà la maggior parte delle sue produzioni cinematografiche e parte delle sue opere letterarie e dei suoi scritti (come quello sulla rivista Vie Nuove del 1958). In ferrata polemica con le istituzioni, è a partire dalla condizione disumana di questi luoghi che Pasolini mostrerà tutta la contraddizione del crescente boom economico di quegli anni: promessa di una vita migliore per pochi; illusione che ne lascia indietro molti: i dimenticati delle periferie. La sua frequentazione assidua della zona è testimoniata, ancor oggi, da molte opere di street art.
Sempre a sud della Capitale, altro quartiere piuttosto frequentato da Pasolini era il Pigneto, popolare e proletario. Sfondo di Ragazzi di Vita e dell’Accattone, è così che Pasolini delinea su carta le sue osservazioni:
«Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma».
Ancora, è nel quartiere Testaccio, che Pasolini trova l’ispirazione per scrivere le Ceneri di Gramsci. In particolare, durante una delle continue visite che fa al Cimitero Acattolico della città. Insieme ai poeti Keats e Shelley, e all’amico Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo si reca a trovare, infatti, la tomba di Gramsci. Ed è proprio davanti alla sua lapide che immagina la poesia, dalla quale, poi, prenderà il titolo l’intera raccolta (di cui, tra le altre, fa parte la commovente poesia Il pianto della scavatrice, 1957).
Infine, Pasolini passa l’ultimo decennio della sua vita, prima della fatidica morte all’Idroscalo di Ostia, all’interno dell’avveniristico quartiere Eur. In una zona, “in una quotidianità”, cioè, nettamente diverse da quelle abitate finora, ovvero prima del 1963.
Insomma, nel periodo in cui acquista la Torre di Chia, dà vita al Vangelo secondo Matteo, lavora a Salò e comincia a stilare Petrolio (pubblicato postumo nel 1992), è forse dell’architettura razionalista dell’EUR, coi suoi marmi bianchi e le sue strutture minimaliste, che Pasolini ha bisogno, quasi fosse la forma più adatta ad accogliere il suo tormento finale.
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