“La Pratolina”, il ristorante che serve la cucina romana con un tocco creativo
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Nasce come un piatto della cucina povera, ma ancora si usa prepararla nel viterbese: conosci l’acquacotta e la sua storia?
(Fonte: La cianella)
Molti piatti della cucina laziale, e romana, hanno origini umili. Basti pensare alle interiora, al quinto quarto, alle zuppe di legumi, alla trippa, alla coratella, alla pajata o al brodo d’arzilla. Parte di quelle ricette semplici, che oggi consideriamo tipiche, prevedevano ingredienti facilmente reperibili. Ancor di più, poco costosi, perché era il popolo ad acquistarli, e spesso le famiglie non navigavano nell’oro. La ridotta quantità dei prodotti da mettere insieme, però, non influiva sul gusto.
(Fonte: Giallo Zafferano)
Sebbene considerate “povere”, molte di quelle pietanze sono diventate parte della nostra gastronomia nostrana. Senza quei connubi e quelle ricette, figlie del detto “fare di necessità virtù”, non avremmo mai avuto alcuni dei nostri piatti più buoni e più tradizionali, e sarebbe stato proprio un peccato. Stesso discorso vale per l’acquacotta, che non nasce esattamente a Roma, ma col tempo è diventata una prelibatezza dell’intero Lazio.
Si trattava del pranzo al sacco tipico dei butteri, spesso costretti nelle campagne aperte, per portare al pascolo le mandrie. Per butteri si intendevano, infatti, tutti quei pastori a cavallo provenienti dalla maremma toscana e laziale, dalla Campagna Romana e dall’Agro Pontino. L’acquacotta era un pasto ideale da portarsi dietro, sopratutto se stava fuori casa tutto il giorno.
(Fonte: Fattoria San Lorenzo)
Era il giusto compresso fra gusto, nutrienti e valori energici. Il lavoro dei butteri richiedeva sì qualcosa di buono, ma anche di sostanzioso. Questo piatto, nella sua semplicità, era insomma perfetto per loro. Una zuppa povera, simile alla zuppa medievale chiamata arcidossina e nata tra le cucine agresti dei poderi sul Monte Amiata, composta di verdure e pane, ingredienti presenti nella maggior parte delle cucine.
Ma come si realizzava? Dopo aver recuperato le verdure, nei vari mercati oppure direttamente dal proprio orto, e diverse da zona a zona o a seconda della stagione, a queste si aggiungeva il pane sciocco, ovvero sciapo, fatto in casa oppure acquistato, l’olio d’oliva e il sale. Si bagnava quindi il pane con dell’acqua, oppure si aggiungeva sopra a pezzi, e si mixava con il resto (con le verdure precedentemente cotte).
(Fonte: Lorenzo Vinci)
Qualche volta, si potevano aggiungere anche altri elementi, a piacere o in base alla disponibilità. A Roma si aggiungeva, ad esempio, il baccalà e come verdure si mettevano i broccoli, i broccoletti o la cicoria selvatica. Per i più fortunati, si aggiungeva la cotica, qualche altro scarto di maiale o le uova, così da renderla ancora più ricca e nutriente.
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