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Qualche curiosità su Roma Antica, che forse non sapevi, spiegata attraverso tre modi di dire latini.
(Fonte: Nanopress)
Un po’ come un moderno “va’ co’ chi è mejo de te e faje le spese“, questo modo di dire latino si traduce come “impara dai buoni le buone cose“. Anche gli antichi credevano che, frequentare qualcuno migliore di te, potesse renderti migliore. È interessante, però, notare che le buone cose, per i romani, non si imparavano dal più forte, dal più ambizioso o dal più intraprendete, ma dal più buono. Che valore aveva la bontà nell’antica Roma?
(Fonte: Mos Maiorum)
Il nucleo della moralità romana, quindi della giustizia e della bontà, era legato nell’antichità a ciò che veniva definito Mos maiorum, cioè “usanza, costume degli antenati“. Era dalle tradizioni dei propri avi che si ricavava il fondamento dell’etica. E se il mores, da cui deriva il nostro “morale“, non veniva rispettato, quindi si perdevano di vista valori come la Pietas o il senso civico, allora si potevano rischiare gravi conseguenze. Sanzioni, anche fisiche, considerate terribili in passato, come l’infamia, l’ignominia, la condanna o la pena capitale.
“Da una fonte pura, sgorga acqua pura“, dicevano gli antichi. Come dire: se sei pulito nel tuo animo, lo sarai anche fuori. Perché dalla purezza non può che sgorgare la purezza; dai i buoni pensieri le buone azioni, e così via. Non stupisce, poi, che per esprimere questo concetto gli antichi usassero l’elemento liquido. È vero, l’acqua è trasparente, ma non è tutto.
(Fonte: Roma.Com)
L’acqua aveva un valore supremo per i romani. Tanto che furono i primi veri architetti della storia, con i loro enormi acquedotti. Il fiume Tevere era venerato dagli antichi, e considerato alla stregua di una divinità. Un tempo c’erano addirittura dei mulini! Era dalle sue acque che dipendevano i commerci e il benessere della città. Senza dimenticare il mare. Il mare nostrum che permetteva alle navi di espandere i domini di Roma, di fare conquiste, metter su provincie, al di là del limes dello Stato.
Infine, si poteva sentire questo curioso detto che, tradotto dal latino, recita: “chi cade da cavallo dice che voleva scendere“. L’affermazione poteva servire in due occasioni. La prima: per far passare un lavoro forzato come una cosa che si faceva di voglia. La seconda: quando si voleva mentire, per far bella figura, facendo passare qualcosa che era accaduto (magari di imbarazzante) come una scelta. “Se non è zuppa è pan bagnato”, insomma!
(Fonte: Bar di Roma Antica)
Eppure, anche in questo modo di dire, torna qualcosa di molto caro ai romani: il cavallo. Esisteva persino una festività dedicata a questi animali: gli Equirria, da cui il nostro “equino“. Si trattava di corse con i cavalli, in onore del dio Marte. Andare a cavallo, poi, era simbolo di una certa élite romana. Gli equites, i cavalieri rappresentavano il ceto alto della società romana. I cavalli stessi erano una segno di superiorità. Si pensi alla facilità di spostamento che permettevano, o alla guerra, dove si rivelavano fondamentali, spesso cruciali contro l’avversario.
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