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I suoi lavori iniziarono nel 1878, ma solo nel 1885 fu posata la prima pietra per la costruzione del monumento del Vittoriano di Roma. Quale fu la sua storia?
Macchina da scrivere, Vittoriano, Altare della Patria, Tomba del Milite Ignoto: così viene chiamato quel magnifico monumento di Piazza Venezia, eretto in onore del re Vittorio Emanuele II. Qual è la storia di questo incredibile edificio al centro di Roma?
Quando dal Colosseo, passando per via dei Fori Imperiali, ci si dirige verso il Campidoglio e i Musei Capitolini, certo non passa inosservata una delle opere architettoniche più belle di Roma. Non si può far finta di non vederlo: nella sua imponenza, il Vittoriano riesce a rapire lo sguardo di ogni passante.

(Fonte: ArcheoRoma)
Molto spesso associato alla celebre parata, organizzata per la Festa della Repubblica Italiana ogni 2 giugno, alle frecce tricolore o alla Liberazione del 25 aprile, l’Altare della Patria può considerarsi parte assoluta di quel vasto complesso di patrimoni artistici-culturali che ancor oggi il mondo ci invidia. E solo osservandolo si può intuire il perché. La sua struttura è talmente maestosa e solenne da farsi – di fatto – espressione ineguagliabile di quella potenza e di quella grandiosità che da sempre accompagnano la capitale. Insomma, frutto di anni e anni di lavoro, al cospetto di questo enorme complesso, non si può non provare, al contempo, un leggero sentimento di stupore e di smarrimento.
Nella stessa direzione, anche la storia di questa magnifica costruzione romana. Un gigantesco monumento simbolo dell’identità nazionale, il cui cantiere potè dirsi concluso dopo oltre 50 anni. Nato dall’intuito del parlamentare Francesco Perroni Paladini e dal suo disegno di legge, promulgato dal ministro Zanardelli, il progetto di costruire un monumento alla memoria di Vittorio Emanuele II di Savoia cominciò a farsi largo intorno alla seconda metà inoltrata dell’Ottocento.

(Fonte: Il Corriere della sera)
Era il 16 maggio del 1878 e, pensato nelle vesti di un moderno Foro, il Vittoriano sarebbe stato inaugurato, non totalmente rifinito, solo nel 1911, come opera celebrativa di uno dei quattro Padri della Patria (così venivano chiamati Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e il re). La prima pietra venne infatti posata nel 1885. Per l’occasione, vennero indetti ben due concorsi e per due specifiche ragioni: la prima, venne designato vincitore un architetto francese e tante furono le critiche da parte degli italiani; la seconda, la scoperta che, l’idea proposta da Henry Paul Nènot, ricalcava in pieno un suo precedente disegno, realizzato in Francia, per un’università.
Il secondo concorso venne, comunque, bandito nel 1882 e stavolta a vincere fu l’italiano Giuseppe Sacconi, col suo progetto ispirato ai grandi santuari ellenistici. Contemporaneamente, si decise il luogo. Il monumento sarebbe stato edificato alle pendici del Campidoglio, in quella che anticamente era conosciuta sotto il nome di Piazza San Marco. Il colle, infatti, non era solo simbolo della nascita di Roma e del suo Imperialismo, ma rappresentava un luogo di perfetta contrapposizione a San Pietro, simbolo del potere temporale papale. Iniziarono quindi i lavori e, con essi, le numerose demolizioni, ritenute indispensabili per ricavare il vuoto.

(Fonte: Trastevere App)
Così, iniziando da via del Corso, furono decapitate intere ricchezze medievali e rinascimentali; quartieri di importanza secolare che avrebbero per sempre inghiottito, con le loro macerie, la propria storia. Come il Palazzo Bolognetti-Torlonia, una delle più fastose residenze europee; o via Macel de’ Corvi, casa di uno dei più importanti artisti al mondo, Michelangelo. Lo scenario poi, ovviamente, oltre a distruggere, riportò in superficie anche importanti resti archeologici. Tra questi, in particolare, alcune parti delle mura serviane, primo sistema difensivo della città, risalenti al VI sec. a.C..
Come potete immaginare, nel corso della sua impegnativa costruzione, il Vittoriano passò infine tra le mani di molti architetti, per giungere a ciò che oggi vediamo. Insieme a Sacconi, si avvicendarono allora Manfredi, Koch, Piacentini e Ferrari, per la sua sistemazione finale. Nel 1935 l’Altare della Patria, anche detto Macchina da scrivere per via della sua forma, potè dirsi terminato completamente, con la sua scalinata, la biforcazione in due rampe, il vasto terrazzo porticato a esedra, i mosaici in oro, la statua equestre (opera di richiamo a Marco Aurelio, di Enrico Chiaradia ed Emilio Gallori), le vittorie alate e le colonne.

(Fonte: Trastevere App)
Ad occuparsi del terrazzo fu, invece, lo scultore Zanelli, coadiuvato da Marullo. Mentre, l’idea di seppellire lì, il Milite Ignoto, un soldato di cui non si sapeva la provenienza, fu del colonnello Giulio Douchet, a conclusione della Prima Guerra Mondiale (circa tre anni dopo, nel 1921). Qualcuno di voi, poi, ricorderà l’attentato del ’69: due bombe che scoppiarono nella parte alta dell’edificio e che ne causarono la chiusura al pubblico per circa trent’anni, fino alla riapertura, il 4 novembre del 2000.
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